Ciao,
grazie per essere capitata/o qui.
Il blog si è trasferito a un nuovo indirizzo.
Al link www.daisyfranchetto.com , ci trovi più belli che mai!!
Ti aspettiamo!
dayseye di Daisy Franchetto
domenica 22 marzo 2015
giovedì 12 febbraio 2015
Se compare una pistola
Cechov diceva che se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari.
Se si introduce un elemento in un racconto, bisogna che abbia una finalità. E la finalità di una pistola è sparare. Forse farà cilecca, oppure il personaggio la terrà puntata stringendola tra le mani sudate senza che parta il colpo, perché il romanzo finisce così, ma questa pistola qualcosa dovrà fare.
Io che ho l'ambizione di imparare a scrivere, accolgo con gratitudine il suggerimento di Cechov. E ci ricamo anche un po' su.
Se in un romanzo una pistola deve assolvere alla sua funzione, nella vita di tutti i giorni cosa deve fare?
L'Italia è un paese che produce molte armi, lo sapevate? Fino a poco tempo fa era il primo produttore di armi leggere. Le produciamo e le vendiamo in giro per il mondo. Che cosa faranno queste armi? Quale sarà la loro storia? Quante volte spareranno? A chi?
E poi ci sono tutte le armi regolarmente o illegalmente conservate nelle case. Con un regolare porto d'armi si può detenere una pistola e andarci in giro (però si deve giustificare la richiesta), chi pratica la caccia detiene delle armi.
Certo, qualsiasi oggetto può diventare un'arma. Ma una pistola, un fucile, un mitra nascono con un sigillo particolare. Sono state create per fare del male, anche se la motivazione è la legittima difesa.
Se acquisti un'arma, devi essere consapevole che la sua natura è precisa. Non le potrai chiedere di pelare le patate o di affettarti il salame. Magari accetterà di rimanere riposta in un luogo segreto per molto tempo, ma non smetterà mai di essere quello che è. Nel suo antro buio, spera che qualcuno venga e darle la libertà. Fatalmente, capita a volte che sia la persona sbagliata a trovarla e ad usarla. Un amico a diciotto anni è morto proprio così.
Se ci prepariamo a colpire qualcuno, prima o poi capiterà. Se concepisci un'arma, prima o poi ti troverai ad usarla. Allora cosa farai? La userai o la riporrai di nuovo? Avrai il coraggio di sbarazzartene?
Se ci predisponiamo all'offesa, all'attacco, sarà proprio quello che ci accadrà.
Non è vero che se vuoi la pace devi prepare la guerra. Se prepari la guerra, avrai la guerra. E non sto pensando solo all'ordine mondiale. Penso anche alle mille volte in cui creiamo le nostre personali armi per difenderci o attaccare gli altri.
Tutte le volte che ci predisponiamo alla difesa, saremo attaccati. E' quello che ci aspettiamo, ed è ciò che avremo.
Tutte le volte che ci prepariamo all'attacco per difesa (o anche no), ci troveremo nella condizione di ferire.
Allora la soluzione è subire? No, non credo. E' nostro diritto sottrarci alla sofferenza.
Forse però è anche possibile sottrarsi a questo continuo fuoco incrociato, chiedendosi "Perché?"
E cercando umilmente e sincermente una risposta a questa domanda. Se attacco, perché lo faccio? Se subisco, perché subisco?
E non accontentiamoci della prima risposta che daremo (probabilmente trattasi di una giustificazione), chiediamoci ancora il perché del perché.
Una delle domande più difficili che mi ha posto finora mio figlio è: "Perché 'perché'?" Cioè chiedersi il significato del perché. Troppo metafisico. Una risposta non l'ho ancora trovata.
Abbiate cura di voi e delle vostre armi!
P.s.: Come vedete siamo ancora alla vecchia versione del blog, ma a breve ci sarà la nuova.
giovedì 29 gennaio 2015
Stiamo lavorando per migliorare questo Spazio
Cari tutti,
in questi giorni uno stimatissimo amico sta lavorando per creare uno Spazio più bello e un Mondo più bello, cioè mi sta aiutando a creare un nuovo sito in cui mettere le mie cianfrusaglie.
Chi entra nel mio blog dall'indirizzo www.daisyfranchetto.com potrebbe avere delle difficoltà.
Passerà tutto in fretta, così come i momenti di confusione nella nostra vita, quelli in cui non sappiamo bene chi siamo per intenderci.
Ricordandomi ancora una volta che per ritrovarsi bisogna anche sapersi perdere un po', vi saluto.
Abbiate cura di voi e dei vostri spazi mutanti!
in questi giorni uno stimatissimo amico sta lavorando per creare uno Spazio più bello e un Mondo più bello, cioè mi sta aiutando a creare un nuovo sito in cui mettere le mie cianfrusaglie.
Chi entra nel mio blog dall'indirizzo www.daisyfranchetto.com potrebbe avere delle difficoltà.
Passerà tutto in fretta, così come i momenti di confusione nella nostra vita, quelli in cui non sappiamo bene chi siamo per intenderci.
Ricordandomi ancora una volta che per ritrovarsi bisogna anche sapersi perdere un po', vi saluto.
Abbiate cura di voi e dei vostri spazi mutanti!
giovedì 15 gennaio 2015
Dimmi: sei stato bravo?
Tra le espressioni riferite all'infanzia, quelle che mi lasciano più perplessa sono legate alla parola "bravo/a".
Lo so, è un'espressione che sottintende molte cose, non necessariamente un giudizio sulla persona.
"Sei stato bravo/a?" Si chiede continuamente ai bambini.
"E' bravo/a?" Si chiede alle mamme e ai papà, anche riferendosi a bambini di pochi giorni.
Ma io mi domando, e vorrei che qualcuno mi rispondesse: come fa un bambino a essere bravo o non bravo?
E' bravo se non fa i capricci? Se gli va bene tutto quello che gli viene proposto senza fare una grinza? E cosa sono i capricci?
Tante domande oggi!.
A preoccuparmi, è anche l'assoluto che sembra nascondersi dietro questo aggettivo. Se uno è bravo, lo è in tutto, se uno non lo è, sorge il dubbio che possa non esserlo mai nella sua vita.
Queste cinque innoque letterine, ne celano altre cinque. "Buono" o "buona".
Una valutazione sull'essere di un individuo agganciata alle azioni che uno compie.
Quello che si vorrebbe, è che i bimbi fossero "buoni".
Sono buoni o bravi a pochi mesi se: mangiano a orari precisi, dormono quanto vorremmo noi (non importa che il ritmo sonno/veglia nell'essere umano si stabilizzi a tre anni circa) ed evitano di piangere se qualcosa li diturba, fosse anche il mal di pancia.
A pochi anni sono bravi se: vengono quando li chiami, mangiano composti a tavola, non urlano, non sporcano, non si sporcano, si rivolgono a tutti con espressioni amorevoli e toni angelici, non corrono tranne quando li si porta in spazi adeguati (un po' come i cani insomma). E questa lista potrebbe continuare un bel po'.
Ho visto bimbi abbassare gli occhi, vergognosi attendendo la risposta dei genitori alla famigerata domanda: "E questo bambino è bravo?"
Perchè nessuno può essere bravo, nessuno di noi ce l'ha mai fatta ad esserlo. E' un traguardo irraggiungibile, un'aspettativa impossibile da sostenere che ti grava sulla testa anche quando sei adulto.
Tutte le volte che non sei all'altezza dei compiti che ti vengono assegnati, quando ti scappa di dire quello che pensi in maniera poco opportuna, quando non incarni perfettamente il ruolo, quando sei troppo sopra le righe o sotto.
Così nascono le "brave mamme" e i "bravi papà", e così soccombono quelli che non riescono a rientrare in questa rosa di eletti.
La sera, una volta spenta la luce e infilate le stanche membra sotto le coperte, un'ombra silenziosa si accosta al nostro letto e si china su di noi premurosa. Controlla che i nostri occhi siano chiusi, che ci siamo lavati i denti, e a quel punto ci domanda perfida: "Dimmi, sei stato bravo oggi?"
Abbiate cura di voi bambini cattivi!
mercoledì 17 dicembre 2014
Ombra è Luce
Ho camminato a lungo in quel corridoio
cavernoso e scuro, forse per mesi.
All’inizio la luce rischiarava le pareti e
rendeva sicuri i miei passi. Poi, gradualmente, senza che me ne accorgessi, si
è affievolita e mi sono ritrovata sola nelle tenebre.
Un tempo conoscevo la mia storia e potevo
cantare, come in una filastrocca, il nome dei miei simili. Non so come sia
accaduto che li ho dimenticati. Così come ho scordato il significato del mio
vagare, ho scordato chi sono.
Forse perché mi sentivo davvero sola, ho
cominciato a parlare con ciò che era davvero presente. L’oscurità.
«Puoi sentirmi?» gli domandavo. «Quando
finirà tutto questo? Quando tornerà la luce? Non mi ricordo più come sono
fatta.»
Ma l’oscurità non mi rispondeva, restava
silenziosa a osservarmi.
Qualche volta mi riposavo, desiderando una
carezza, ma nessuno veniva.
Un giorno mi sentivo così stanca che ho
smesso di avanzare.
Non volevo più andare da nessuna parte, non
desideravo più nulla.
Allora l’oscurità mi ha parlato.
«Perché ti sei fermata?»
Credevo di essermelo solo immaginato, ma la
voce è tornata a chiedere: «Perché non vai avanti?»
«Sono stanca e sono sola» ho risposto con un
filo di voce.
«Ma tu non sei sola, ci sono io con te» ha
protestato l’oscurità.
«Non ti sei mai fatta vedere.»
«Nessuno mi vede, perché sono buia.»
«Perché non mi hai risposto quando ti
chiamavo?»
«Non pensavo parlassi con me.»
«E con chi allora? Qui non c’è nessuno» ho
detto esasperata.
«Ti sbagli, qui ci sono tante cose. Basta
saper guardare.»
Rimasi in silenzio.
Allora l’oscurità mi ha fatto vedere le cose
che avevo intorno. Lei mi indicava dove guardare e, se mi concentravo, potevo
vedere tanti oggetti dimenticati che mi erano appartenuti.
Una vecchia caffettiera, un pallone sgonfio,
un libro mai finito, la fotografia del mio gatto e quella di un amico che ho
perduto.
«Continua, guarda bene» mi incitava
l’oscurità. Ed io guardavo meglio.
Così ho visto i volti di tante persone che
non mi ricordavo di aver incontrato. Ho rivisto i momenti difficili, pastosi di
sofferenza e aguzzi di dolore, e quelli lieti, soffici di risate.
Non mi sentivo più triste, perché c’era
l’oscurità a tenermi compagnia.
«Non ti fermare, vai avanti!» diceva
l’oscurità.
«Perché sei così gentile con me?»
«Perché tu sei importante per me.»
«Io sono importante? Non so nemmeno chi
sono.»
«Anch’io non sapevo chi ero, sei stata tu a
farmelo capire» mi ha detto l’oscurità.
Ero sempre più stupita e non capivo, ma
l’oscurità continuava a dirmi di andare avanti.
Finché non ho visto una piccola luce, là in
fondo al corridoio.
Colma di gioia ho cominciato a correre.
A mano a mano che mi avvicinavo, la luce
aumentava e mi abbagliava.
Alla fine del corridoio ho trovato la
risposta a tutte le mie domande. Uno specchio. Uno specchio che rifletteva la
mia immagine.
L’oscurità era vicina a me, ai margini del
mio campo di luce.
«Sei tu, sei tu la luce che cercavi» mi ha
detto. «È grazie a te se io mi conosco e contemplo i miei confini.»
Per tutto quel tempo avevo vagato, dimentica
di tutto, alla ricerca di qualcosa che solo io potevo darmi.
Anche adesso, che brillo nel cielo
consapevole del mio splendore, so che un giorno tornerò a perdermi per corridoi
bui e che mi ritroverò solo grazie all’oscurità, mia sorella.
жжж
Se avete
camminato al buio, in luoghi sconosciuti, senza qualcuno che vi indicasse la
strada, allora sapete come ci si senta sperduti e intimamente impauriti.
Anche quelli che
non temono il buio conoscono l’inquietudine che le tenebre sanno agire.
Questo è un
periodo dell’anno particolare. Nell’ordine ciclico stabilito dalla rotazione
dei pianeti, adesso stiamo vivendo un periodo di massima oscurità, che
raggiungerà il suo culmine intorno al ventuno dicembre, solstizio d’inverno.
Non ce ne siamo
resi conto, presi dall’euforia della stagione estiva, ma le giornate si stavano
già accorciando, e adesso questo processo decrescente volge al termine.
Tutte le
culture, dagli egizi ai persiani, dai greci ai popoli nordici, hanno celebrato
questo periodo per il suo profondo significato simbolico e, forse, per
esorcizzare qualche paura.
Tutti
nell’emisfero nord, e anche la nostra cultura non fa eccezione, in questi
giorni si preparano a celebrare la luce.
Perché è vero
che l’oscurità è nella sua massima espressione, ma è anche vero che, nel
momento in cui saremo all’apice della notte, proprio in quel momento la luce
risorgerà.
Abbiamo perduto
il contatto con i ritmi naturali, abbagliati dalla luce artificiale quanto le
falene, ma questi giorni bui che volgono al termine, sembrano suggerirci che l’alternanza
di periodi oscuri, propizi all’introspezione, e di giorni luminosi sia nello stato
delle cose, che non si possa tenere solo metà della mela in mano, e che la luce
abbia bisogno dell’oscurità per risplendere, così come noi necessitiamo di
periodi difficili per scoprire noi stessi.
Abbiate cura di voi, della luce e dell'ombra che siete!
venerdì 12 dicembre 2014
Il dio degli errori
"Credo che esista anche un dio delle piccole cose ..." canta Max Gazzé in una canzone.
Se esiste il dio delle piccole cose, esiste anche quello degli errori. Ne sono certa.
E' il dio che si nasconde agli incroci e ti fa prendere la strada che non volevi, quello che si infila nella penna a sfera e ti fa sbagliare le risposte nei compiti in classe o agli esami di ammissione all'università.
Me lo figuro non molto alto di statura, con la pelle grigia e un abito sgualcito e incolore, per passare inosservato. Uno gnomo dispettoso.
Ci suggerisce le persone sbagliate nelle quali riporre fiducia e ci fa calcare la mano con il sale quando cuciniamo per una cena importante.
Ci fa dire le cose sbagliate, nel momento sbagliato, alla persone sbagliate. E non c'è rimedio.
Rende il nostro passo malfermo nel ghiaccio e ci fa ruzzolare a terra.
Quando fai la spesa, ti fa comprare il prodotto che non volevi.
Ti confonde e scegli il compagno imperfetto, ti inganna e finisci con l'accettare un lavoro che non fa per te.
E' il dio dei ritardi, delle mancanze, delle gaffe, dell'abbaglio, della cantonata colossale.
Lo vorremmo scansare a ogni angolo e invece lui è lì a ricordarci la nostra imperfezione e la nostra fragilità di fronte alla Vita.
E' il dio degli errori eppure è un errore anche chiamarlo così.
E' il dio delle opportunità che non vorremmo cogliere, ma che la Vita ci vuole a tutti i costi suggerire.
Abbiate cura di voi e delle opportunità che gli errori regalano!
venerdì 21 novembre 2014
Piccoli atti di resistenza al potere
Tutto quello che ci capita di vivere da piccoli ci segna e indica la piega che alcuni aspetti della nostra vita prenderanno.
Il primo atto di resistenza al potere che io ricordi è qui di seguito riportato.
Ho frequentato un asilo gestito da suore alla fine degli anni '70.
Il primo atto di resistenza al potere che io ricordi è qui di seguito riportato.
Ho frequentato un asilo gestito da suore alla fine degli anni '70.
A tre anni ero già persuasa che qualsiasi mia azione potesse potenzialmente offendere (nell'ordine): mia madre, mio padre, le suore, Gesùbbambino, i santi e tutto quello che si trova nel cielo.
In più, dopo pranzo ero obbligata a fare il riposino. Ora, io ho smesso di fare il riposino a un anno di vita e in questo asilo non c'erano nemmeno i lettini, quindi ci costringevano a dormire seduti sulle sedioline e con la testa poggiata al tavolo.
L'unica comodità che ci veniva concessa era un piccolo strato di gommapiuma (ostinatamente chiamato "cuscinetto") su cui potevamo poggiare la testa. Il mio era rosa, se visto da lontano, oppure a quadretti piccolissimi bianchi e rossi, se ci schiacciavi la faccia.
I tavolini su cui avremmo dovuto dormire erano raggruppati, così la mia testolina era confinante con altre tre.
Per un periodo sedetti vicino a mio cugino (che qui ricorderò con il suo nomignolo) Tex, il suo miglior amico Ambro (anche questo è un nomignolo) e un altro bimbo o bimba che non ricordo chi fosse perché era l'unico/a a dormire.
Quando si faceva silenzio, Tex scostava il cuscino e cominciava a produrre con la bocca una sostanza che non era saliva, ma una schiuma densa e bianca. Poi, con un movimento molto preciso delle labbra, gonfiava il tutto e ne usciva una bolla indistruttibile.
Io non sono mai riuscita a fare una cosa del genere, al massimo potevo produrre una pozza di saliva incolore. A Tex andava tutta la mia ammirazione (tuttora lo stimo moltissimo), non solo perché sapeva fare delle bolle che nemmeno il sapone di marsiglia, ma anche perché, silenziosamente e pacificamente, sfidava il potere.
Se una delle suore percepiva dei movimenti, o dei bisbigli, e si avvicinava ai banchi, Tex in un solo risucchio silente inglobava la poltiglia bianca, e spostava il cuscino a coprire il tutto.
Noi chiudevamo gli occhi e fingevamo di dormire, così non ci hanno mai scoperti.
Noi chiudevamo gli occhi e fingevamo di dormire, così non ci hanno mai scoperti.
Questo ricordo, francamente disgustoso, è il simbolo della resistenza dissacrante che i piccoli possono agire nei confronti dei poteri forti.
Non sarà certo così che si sovverte il sistema (e il sistema siamo noi, ricordiamocelo), ma trovo che piccoli atti di resistenza pacifica siano profondamente liberatori.
Oggi, tutte le volte che ci sentiamo oppressi, concediamoci (almeno con il pensiero) un atto di resistenza.
E se non siamo portati per gli atti rivoltosi, almeno compiamone di rivoltanti.
Qual é stato il primo atto di resistenza al potere che ricordate?
Qual é stato il primo atto di resistenza al potere che ricordate?
Abbiate cura di voi e della vostra piccola resistenza silenziosa!
Iscriviti a:
Post (Atom)