giovedì 12 febbraio 2015

Se compare una pistola

Cechov diceva che se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari.
Se si introduce un elemento in un racconto, bisogna che abbia una finalità. E la finalità di una pistola è sparare. Forse farà cilecca, oppure il personaggio la terrà puntata stringendola tra le mani sudate senza che parta il colpo, perché il romanzo finisce così, ma questa pistola qualcosa dovrà fare.
Io che ho l'ambizione di imparare a scrivere, accolgo con gratitudine il suggerimento di Cechov. E ci ricamo anche un po' su.
Se in un romanzo una pistola deve assolvere alla sua funzione, nella vita di tutti i giorni cosa deve fare?
L'Italia è un paese che produce molte armi, lo sapevate? Fino a poco tempo fa era il primo produttore di armi leggere. Le produciamo e le vendiamo in giro per il mondo. Che cosa faranno queste armi? Quale sarà la loro storia? Quante volte spareranno? A chi?
E poi ci sono tutte le armi regolarmente o illegalmente conservate nelle case. Con un regolare porto d'armi si può detenere una pistola  e andarci in giro (però si deve giustificare la richiesta), chi pratica la caccia detiene delle armi.
Certo, qualsiasi oggetto può diventare un'arma. Ma una pistola, un fucile, un mitra nascono con un sigillo particolare. Sono state create per fare del male, anche se la motivazione è la legittima difesa.
Se acquisti un'arma, devi essere consapevole che la sua natura è precisa. Non le potrai chiedere di pelare le patate o di affettarti il salame. Magari accetterà di rimanere riposta in un luogo segreto per molto tempo, ma non smetterà mai di essere quello che è. Nel suo antro buio, spera che qualcuno venga e darle la libertà. Fatalmente, capita a volte che sia la persona sbagliata a trovarla e ad usarla. Un amico a diciotto anni è morto proprio così.
Se ci prepariamo a colpire qualcuno, prima o poi capiterà. Se concepisci un'arma, prima o poi ti troverai ad usarla. Allora cosa farai? La userai o la riporrai di nuovo? Avrai il coraggio di sbarazzartene?
Se ci predisponiamo all'offesa, all'attacco, sarà proprio quello che ci accadrà.
Non è vero che se vuoi la pace devi prepare la guerra. Se prepari la guerra, avrai la guerra. E non sto pensando solo all'ordine mondiale. Penso anche alle mille volte in cui creiamo le nostre personali armi per difenderci o attaccare gli altri. 
Tutte le volte che ci predisponiamo alla difesa, saremo attaccati. E' quello che ci aspettiamo, ed è ciò che avremo. 
Tutte le volte che ci prepariamo all'attacco per difesa (o anche no), ci troveremo nella condizione di ferire.
Allora la soluzione è subire? No, non credo. E' nostro diritto sottrarci alla sofferenza.
Forse però è anche possibile sottrarsi a questo continuo fuoco incrociato, chiedendosi "Perché?"
E cercando umilmente e sincermente una risposta a questa domanda. Se attacco, perché lo faccio? Se subisco, perché subisco?
E non accontentiamoci della prima risposta che daremo (probabilmente trattasi di una giustificazione), chiediamoci ancora il perché del perché.
Una delle domande più difficili che mi ha posto finora mio figlio è: "Perché 'perché'?" Cioè chiedersi il significato del perché. Troppo metafisico. Una risposta non l'ho ancora trovata.

Abbiate cura di voi e delle vostre armi!

P.s.: Come vedete siamo ancora alla vecchia versione del blog, ma a breve ci sarà la nuova.



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